Palazzo del Lavoro di Torino

Nel 1959 Pier Luigi Nervi vince il concorso per la realizzazione di uno spazio espositivo da utilizzarsi per l’Esposizione Internazionale che si terrà nel 1961, nel centenario dell’Unità d’Italia.

Il progetto è realizzato insieme al figlio Antonio e, per la parte in acciaio, a Gino Covre.

L’edificio di 25.000mq viene realizzato in meno di dodici mesi ed è costituito da 16 piloni in cemento armato sormontati da un quadrato in acciaio. Questi “ombrelli” sono disposti a creare un quadrato e, la distanza tra loro, viene sfruttata per la creazione di fonti di luce.

L’intervento di Pier Luigi Nervi sul catalogo ufficiale dell’Esposizione

Verso uno stile di verità ?
Mi domando molte volte se tutti noi che ci occupiamo di architettura e le persone colte che se ne interessano, e la grande massa di pubblico che ne utilizza le realizzazioni, ci si renda conto di quanto sia stata radicale la rivoluzione avvenuta, in meno di cento anni, nel campo del costruire.
I protagonisti di questa rivoluzione sono parecchi e tra essi si possono citare il generale progresso tecnico e sociale e la disponibilità di nuovi materiali edilizi, ma nessuno di questi fattori o il loro stesso complesso sarebbero stati sufficienti a sconvolgere così completamente la forma, gli schemi e le dimensioni dei fatti architettonici, senza la scoperta, avvenuta verso la metà del secolo scorso, della Scienza delle Costruzioni.
Prima di essa lo studio statico delle opere edilizie si fondava sull’intuizione e su conoscenze empiriche.
E’ evidente che su basi così deboli malgrado gli sforzi, il coraggio e la superiore intelligenza di grandi architetti e costruttori, gli schemi statici si evolvessero con estrema lentezza; definito uno schema strutturale questo si manteneva praticamente immutato per secoli fino a che una geniale ispirazione ne trovava uno più efficiente che ripercorreva lo stesso lentissimo ciclo di sviluppo.
La grande, enorme novità, offerta dalla Scienza delle Costruzioni, è quella di permettere, attraverso l’esame aprioristico delle sollecitazioni interne di un sistema resistente, di trovare per ogni tema costruttivo il più adatto schema statico, e quindi nuove forme architettoniche, con una ricchezza praticamente inesauribile.
Ma a mio modo di vedere c’è una seconda e meno appariscente conseguenza, di una importanza concettuale determinante.
Gli schemi statici che meglio risolvono gli imponenti problemi costruttivi proposti dal progressivo aumento dimensionale degli edifici più rappresentativi, sono quelli che più fedelmente ubbidiscono alle leggi fisiche che regolano l’equilibrio, tra le azioni agenti e quelle resistenti, nell’interno di un organismo strutturale.
Anzi quando le dimensioni di questo superano un certo limite (al quale per molti tipi costruttivi siamo già abbastanza vicini), la più stretta ubbidienza a queste leggi diventa indiscutibile condizione di vita.
L’arco in muratura di limitate dimensioni ha potuto, nel mutare dei tempi e dei luoghi, essere disegnato e realizzato in varie forme: a tutto sesto, ad arco acuto, a sesto rialzato, a profilo polilobato e così via, secondo il variare dei gusti estetici o degli stili, ma il grandissimo arco di oggi e di domani, o seguirà esattamente il profilo corrispondente alla sua massima efficienza statica o non sarà. E così dicasi per tutti gli altri possibili schemi strutturali.
Il fatto nuovo e fondamentale è che il profilo del grandissimo arco, o lo schema strutturale atto a risolvere un imponente tema statico, non possono più essere inventati ma solamente scoperti; i loro inventori sono le leggi che regolano gli equilibri tra le forze agenti e le possibilità resistenti della materia.
E per ciò le opere relative diventeranno obiettivamente vere ed immutabili ( salvo particolari più o meno significativi ) nel tempo e nei luoghi.
Questa evoluzione verso forme vere è del resto in fase già molto avanzata in quei campi che mettono in giuoco imponenti dinamismi, quali i mezzi di trasporto veloci e particolarmente gli aerei.
Le forme dei primi, inefficienti, velivoli, dovute alla fantasia ed alla intuizione creativa dei loro inventori, erano molto varie e tra loro differenti; oggi i grandi aerei di linea hanno unificato le loro caratteristiche formali, caratteristiche che fermo restando lo schema generale del loro funzionamento (volo dinamico, sub-sonico, per reazioni dell’aria su superfici fisse) potranno solamente affinarsi tendendo asintoticamente verso la forma di massima efficienza, definita dal raggiunto perfetto accordo tra l’opera dell’uomo e le leggi di natura.
Se pure nel campo costruttivo l’evoluzione sarà più lenta e limitata alle sole opere di grandissime dimensioni, mi sembra lecito prevedere che la comune base di ubbidienza a leggi non umane, che in modo più o meno appariscente riunisce la purezza delle forme del grande aereo a quelle della grandissima struttura, non potrà non creare un’atmosfera di gusto o in altre parole uno stile allo stesso modo che il contatto con popoli sconosciuti, o il ritorno al passato, o non ben definibili cause occasionali, hanno nel passato modificato e definito l’atmosfera estetica delle varie epoche.
Questo stile di aderenza a leggi naturali sarà comune a tutta l’umanità e non potrà più cambiare se non attraverso una volontaria, o catastrofica, rinuncia al sempre più completo dominio della natura, meta costante degli sforzi dell’umanità dalla sua apparizione sulla terra.
Né si deve pensare che tutto ciò porterà ad una insopportabile monotonia e all’annullamento della personalità dei singoli o dei popoli.
Per stretti che siano i vincoli di uno stile, di una scuola o delle stesse leggi naturali, resta sempre un minimo di libertà nella definizione di particolari, di proporzioni o infine di decorazioni cromatiche, più che sufficienti a differenziare l’una realizzazione dalle sue consimili. Se queste osservazioni sono valide, noi assistiamo al più grandioso fenomeno che sia mai avvenuto nello sviluppo della cultura umana: la nascita di uno stile comune a tutta l’umanità, definito da capisaldi ancorati a legge di natura e che pertanto non potrà più subire involuzioni, ma solo evolversi in un progressivo avvicinamento a verità immutabili.
Pier Luigi Nervi

Lungo il perimetro dell’edificio vengono realizzati, con la tecnica delle nervature isostatiche, due solai. Nei sotterranei sono presenti sale di proiezione e conferenze.

L’organizzazione dell’esposizione (dal catalogo ufficiale)

Il Palazzo del Lavoro, durante l’Esposizione Internazionale del ’61, ospita la mostra “L’uomo al lavoro” allestita da Gio Ponti. Viene collegato al Palazzo delle Mostre (anch’esso costruito per l’occasione, su progetto di Franco Levi e Annibale e Giorgio Rigotti) tramite una monorotaia.

Il Palazzo del Lavoro, al termine dell’esposizione, cambia destinazione d’uso più volte sino ad essere completamente abbandonato.

Approfondimenti e fonti