Leo Industrie Chimiche Farmaceutiche, Roma

Nel 1947 Giovanni Armenise acquista dal costruttore Anacleto Gianni un terreno sulla via Tiburtina e ci costruisce la prima fabbrica di penicillina italiana. All’epoca il know-how e i brevetti produttivi erano in mano a pochissime aziende, principalmente statunitensi, e Armenise acquista i diritti di produzione dall’azienda danese Løvens.

Foto storica dello stabilimento (dall’archivio Leo Farmaceutica Danimarca)

Esterni della Leo Penicillina (archivio storico l’Unità)

La fabbrica viene inaugurata nel 1950 alla presenza di Alexander Fleming, premio Nobel per la scoperta della penicillina. In breve la fabbrica arriva a garantire l’intero fabbisogno di penicillina del Paese.

L’inaugurazione della fabbrica: Armenise è il quinto da sinistra, con gli occhiali, e alla sua sinistra c’è Alexander Fleming

Nel 1953 Giovanni Armenise muore e l’azienda passa al figlio adottivo Giovanni Auletta (era il nipote, adottato dall’Armenise poiché orfano di padre). L’azienda prospera sino agli inizi degli anni sessanta grazie al monopolio della produzione di penicillina in Italia e all’appoggio finanziario della Banca Nazionale dell’Agricoltura, di cui gli Armenise sono soci di maggioranza (la banca venne salvata dal fallimento da Giovanni negli anni ’30, su incarico di Mussolini).

Nel 1963 scade il contratto con la danese Løvens e la fabbrica deve cambiare nome: nasce così la Icar (Industria Chimica Antibiotici Roma); nel frattempo il settore degli antibiotici si è molto evoluto, nuove tipologie di farmaci sono state immesse sul mercato e la Icar inizia ad avere problemi di mercato. Si arriva così alla crisi del 1964 in cui vengono annunciati oltre trecento licenziamenti: la fabbrica viene occupata e dopo giorni di forte tensione si arriva a un accordo di compromesso con la revoca dei licenziamenti ed accordi individuali con contributi economici all’esodo volontario.

La nuova situazione di mercato e una serie di investimenti problematici aggravano la situazione della Icar fino a che Giovanni Auletta decide di vendere tutto. Avviene così, nel 1971, la vendita di azienda e impianti alla ISF (ItalSeber Farmaceutici) dell’industriale milanese Ambrogio Secondi, alla cifra simbolica di una Lira: nel prezzo sono però compresi i forti debiti accumulati e la necessità di un profondo ammodernamento degli impianti. Secondi manda subito a Roma Domenico Chiaramonti, membro del CDA della ItalSeber e responsabile degli impianti produttivi, proprio per studiare il piano di rinnovamento industriale.

Gli investimenti permettono alla ISF di rimanere sul mercato sino al 1985 quando Secondi, ormai in difficoltà economiche, la cede all’americana Smith Kline&French (SKF). Nel 1987 la nuova proprietà decide di disinvestire nel settore degli antibiotici e lo stabilimento di via Tiburtina cessa definitivamente la produzione del prodotto per cui era nato. Nel 1989 avviene la fusione della SKF con la Beecham (SmithKline Beecham) e si continua a disinvestire nella fabbrica di Roma.

Nel 1996 la Beecham decide di disfarsi dello stabilimento e la fabbrica viene venduta proprio al Domenico Chiaramonti che se ne prende cura sin dal 1971 all’epoca della trasformazione in ISF. Chiaramonti diviene proprietario della fabbrica con un socio, Giovanni Peciola, che non ha alcuna esperienza industriale, provenendo dal settore immobiliare. La fabbrica continua il suo lento declino e interi edifici restano inutilizzati. Uno di questi edifici (il primo che si incontra entrando a Roma) inizia a essere trasformato in hotel ma i lavori si interrompono e ne resta solo la struttura in cemento armato.

Il cartellone che annuncia l’apertura (mai avvenuta) dell’hotel nel 2004 e la recinzione originale poi demolita per l’allargamento della Tiburtina (da Google Streetview)

Nel 2003 Chiaramonti cede le quote al socio ed esce dall’azienda. Poco dopo Peciola interrompe la produzione e dal 2006 la fabbrica viene abbandonata.

Negli anni successivi i lavori di ampliamento della Tiburtina comportano l’abbattimento del muro di cinta. Questo, oltre alla cessazione di qualsiasi tipo di vigilanza attiva, facilita l’occupazione della fabbrica da parte di disperati (in gran parte provenienti dagli sgomberi violenti effettuati in due edifici vicini, in via di Vannina) che danno vita a una comunità eterogenea e multirazziale, sulla quale speculeranno populismi politici in cerca di visibilità a suon di sgomberi esibiti in tv come si trattasse di show.

A tal proposito (e anche per la storia dettagliata della fabbrica) raccomando vivamente l’ottimo libro “Hotel Penicillina” in cui ci sono approfondimenti davvero interessanti.

Approfondimenti e fonti